In settembre ho parlato con Abo di Off Topic, chi è un uomo molto politico e anche attivo nella rete NO EXPO a Milano. Finalmente ho trovato una voce critica nei miei partner di intervista e tanti punti di disputare. Seguente – potete leggere tutta la intervista.
Pascal: Che cosa fa la tua organizzazione e perché?
Abo: Ok No Expo è una rete… ti interessa il collettivo o la rete?
Pascal: Il collettivo… Insieme…
Abo: Okay… Mmh… Il mio collettivo, il mio gruppo si chiama Off Topic…
Pascal: Okay…
Abo: Off Topic è uno dei gruppi della Rete NO EXPO, che è un network. Il gruppo nasce tre anni fa. Ha pubblicato un libro, dal titolo Expopolis. Si è occupato, in questi anni, prevalentemente, di Expo ma non soltanto. Ci incontriamo ogni settimana qui, il martedì, a Piano Terra. E’ uno spazio occupato, all’interno di una casa popolare del quartiere Isola, un quartiere sottoposto a rapidi processi di gentrification. Sostanzialmente da una parte facciamo produzione di senso: scriviamo opuscoli, abbiamo costruito un gioco, un’app, il libro, etc., etc. Dall’altra partecipiamo, appunto, a delle lotte legate in particolare ai territori, al lavoro e a campagne di carattere culturale. Oltre alla politica qua dentro facciamo il cinema, tutte le domeniche, il jazz o comunque concerti il giovedì. Tutto autofinanziato e autogestito.
Pascal: Okay, avete cominciato il collettivo dopo la decisione di fare Expo?
Abo: Off Topic sì… Alcuni di noi erano già in altri collettivi e poi all’interno del Comitato No Expo già dall’inizio, da prima che venisse assegnato a Milano, quindi diciamo che dal 2007 esiste un percorso di opposizione ad Expo, da quando ancora non si sapeva se sarebbe stato assegnato a Milano o a Smirne [Izmir, Turkey], e poi, diciamo che Off Topic è stato il gruppo che scrivendo il libro ha dato un po’ il via alla costruzione di una rete ampia, non solo di un singolo comitato come era nei primi anni. Perché Expo? Perché Expo era la chiave… non soltanto l’evento da contestare ma la chiave di lettura per raccontare come cambia Milano, come sarà la Milano del 2016, per comprendere perché è un problema continuare a promuovere il rilancio del paese attraverso grandi-eventi e grandi -pere, che impattano con violenza sui nostri territori.
Pascal: Okay… Mmh… Protestate contro qualcuno oppure qualcosa?
Abo: Beh le due cose vanno di pari passo, nel senso che contestare un progetto significa anzitutto individuare una controparte. Non esistono nemici senza le loro proposte e non esistono delle nocività senza dei responsabili. Quindi ovviamente in questi anni i soggetti, che hanno portato avanti Expo, ad esempio in ambito istituzionale, dal Governo al Comune, sono sempre cambiati ma gli interessi sono sempre rimasti. Expo non ha un colore politico. Da Destra a Sinistra, dalle Cooperative all’Impresa e dalla politica ai media: c’è spazio per tutti. A noi sembra che, collettivamente, l’ambito istituzionale si sia fatto carico di proporre a Milano un problema quindi questo problema va, in qual che misura, combattuto perché tutto ciò che viene, tutte le risorse, le intelligenze, i soldi..vengono dirottati sull’evento. Sono soldi rubati, sottratti alla collettività e alle politiche urbane.
Pascal: Che cosa sai delle proteste primo dell’Expo a maggio?
Abo: Del primo maggio o di tutto il periodo prima?
Pascal: Del primo maggio… Al primo maggio… Sì…
Abo: Allora… Le proteste nacquero nel 2008 quindi a noi non interessa un discorso legato al primo maggio perché il primo maggio c’erano in piazza 50.000 persone, sono successe tante cose ma i media hanno raccontato l’agire di 500 persone e noi, che non abbiamo mai commentato l’agire di altri nelle date precedenti, non lo facciamo neanche in questa data. Non è compito nostro. La cosa che ci sembra più interessante è vedere come ci sia stato un crescendo per cui per tanti anni, fino al 2013, noi eravamo in 15, a fare questo lavoro e poi si è arrivati a un certo punto a essere 50.000. Questa cosa ha creato, evidentemente, anche dei problemi però francamente noi il 2 maggio eravamo in piazza, con le biciclette: abbiamo occupato una tangenziale, la Zara-Expo, siamo arrivati al sito espositivo e con Genuino Clandestino abbiamo occupato una piazza e siamo andati avanti. In altre parotle noi non siamo commentatori. I giornalisti commentano la notizia. Noi facciamo le notizie.
Pascal: Okay.
Abo: Per esempio sulla via d’acqua, di cui nessuno chiede mai, abbiamo scritto anche un opuscolo: abbiamo vinto una battaglia contro un’opera da 90 milioni di euro. Quella cosa lì si è fatta stando due anni, non un pomeriggio, stando due anni su una battaglia, aprendo i cantieri, occupandoli, smontandoli. Per noi quello è stato un buon modo di vincere una battaglia, aldilà di ogni ragionamento su legalità e illegalità, violenza, non violenza ma con un percorso di quartiere molto forte. Quella per noi è una battaglia vincente.
Pascal: Che cosa ha realizzato il tuo collettivo?
Abo: Per esempio questo – non siamo nati in occasione di una protesta universitaria o di una grande stagione di movimento. Il Collettivo è nato ad hoc, sulla base di questi ragionamenti. Da una parte quello che ha realizzato è stato sperimentare forme diverse di autorganizzazione. A Milano non c’era uno spazio in questo quartiere, uno spazio che fosse aperto di giorno, e non solo di notte, in cui si potesse studiare o lavorare, non soltanto fruire cultura a basso costo o senza costo. Probabilmente l’unico spazio a Milano in cui non esiste un ingresso a pagamento, anche se c’è il cinema, teatro…
Pascal: Lavorate senza pagare?
Abo: Questo spazio è occupato quindi non paghiamo l’affitto, perché è uno spazio del Comune ristrutturato e poi tenuto chiuso per anni. L’altra cosa, appunto, è stato dare un contributo a tutta una serie di battaglie. Alcune si sono vinte. Ovviamente non lo fai da solo ma se qualcuno non dà il là, lo start, non si comincia. Sulla via d’acqua, che è un progetto di Expo, credo che Off Topic abbia avuto un ruolo importante. Un’altra cosa è stata la nascita della Rete No Expo, su cui, ovviamente, la responsabilità è collettiva, però anche lì si è dato un forte imprinting e in questo momento c’è un percorso di autoformazione in corso, comprensivo di appuntamenti pubblici, per cui si sta provando ad aprire un ragionamento sullo Sblocca Italia al nord. E’ un importante provvedimento del Governo che porta avanti il modello di Expo, quindi interessante per noi, che siamo un gruppo che in maniera un po’ creativa, senza rinunciare alla radicalità, prova a fare un po’ di ragionamenti sulla governance.
Pascal: Per il momento Expo è ricco di successi e di ospiti. Secondo te è un segnale buono o cattivo?
Abo: Bisognerebbe capire che cosa fa il successo di un’esposizione, innanzitutto.
Pascal: Sono tanti ospiti all’Expo…
Abo: In tutte le esposizioni funziona così. Cioè non esiste, non c’è mai stata un’esposizione universale in cui il paese partecipa e poi non manda o un capo di stato o degli alti rappresentanti, quindi sarebbe come dire che una partita di calcio va bene perché qualcuno ha fatto goal, cioè sì, capita, sempre, praticamente. A volte si finisce zero a zero ma, sostanzialmente, di solito, qualcuno un goal lo fa. Quindi in realtà per calcolare il successo di un’esposizione sono altri i criteri utilizzati di solito. I criteri sono la qualità della proposta, il numero di visitatori, i conti economici, perché se si usa il numero di ospiti internazionali bisogna usare anche dei paesi partecipanti. Allora io ti potrei dire cinque anni fa parteciparono 180 paesi mentre all’Expo di Milano ne partecipano 135 e sarebbe un flop, ancora prima che cominci. E visto che sarebbe stupido dire che è un flop prima che cominci, forse quello non è un indicatore adatto. Mentre l’indicatore più interessante è quello dei visitatori. Expo, per andare non in successo ma in pareggio, ha bisogno di 24 milioni di visitatori e se noi guardiamo le stime di questi giorni è probabile che non arrivi a 20. Ogni visitatore che manca, per ogni visitatore che manca, sono 22/23 euro di ingresso in meno. Moltiplicato per milioni di persone c’è il rischio che quest’esposizione porti con sé milioni di euro di debito pubblico. Faccio un esempio: il Cirque Du Soleil, la proposta culturale più importante di Expo, ha lasciato 1 milione e mezzo di debiti, anche se Expo non è finito. Cioè uno spettacolo, pagato 8 mln all’inizio che tra tutti i biglietti venduti ha tirato su 6,5 mln, quindi direi che dal profilo del numero dei visitatori e dei conti economici, che io credo siano indicatori importanti (anche perché in ambito accademico quando si studiano i grandi eventi non si contano mica i Capi di Stato presenti), il dato emerga chiaramente. Un terzo indicatore più importante, probabilmente, è l’eredità, la legacy. Sono passati 10 mesi dalla data in cui andavano presentati i progetti su cosa fare di quell’area, una volta finito Expo. 300 giorni sono passati e non c’è ancora una proposta chiara. Questo vuol dire che, con ogni probabilità, i lavori partiranno in ritardo. Entro giugno, tutto ciò che non viene smontato, sarà a carico degli Italiani. Questo significa altro debito pubblico. Il debito non è un problema di conti in rosso. E’ proprio un problema di soldi sottratti alla vita, alla mobilità, alle politiche.
Pascal: Tu sai se Expo è stato completato? Oppure I lavori non sono arrivati in tempo? Perché sono andato alla Fiera e tutta l’area è chiusa e mi domando “perché?”.
Abo: Allora l’unico modo per arrivare in tempo era usare i padiglioni della Fiera, invece di costruire roba nuova. Partire con quella già pronta e vuota. I lavori non sono stati conclusi in tempo nel senso che alcuni padiglioni e alcuni particolari nei cluster hanno aperto sì a Giugno, addirittura a Luglio…ma il problema vero non è quello che avviene dentro la Fiera. E’ tutto nell’esperienza di chi ci deve arrivare. Al di fuori del sito espositivo, Expo è stata l’occasione per finanziare autostrade, bretelle, lavori inutili che hanno creato e continueranno a creace solo problemi. Per esempio i treni per arrivare a Expo sono arrivati in tempo, ma per farli arrivare in tempo, li hanno tolti ai pendolari. I Milanesi, chi vive in provincia, ha meno treni di prima, per questi sei mesi…così Expo può dire che è arrivata in tempo. Oppure la Pedemontana, una delle tre autostrade che hanno avuto l’okay grazie ad Expo, è un progetto vecchissimo, che non si realizzava dagli anni ’60. Adesso Expo è quasi finito e la Pedemontana non è ancora terminata.
Pascal: Okay, sì…
Abo: E se tu, due anni fa, andavi sul sito internet di Pedemontana c’era scritto per andare a Expo… Le altre, la Brebemi, in particolare, l’hanno completata in tempo ma non le prende nessuno. Non le usa nessuno, quindi creano ulteriori debito pubblico. Quindi il problema è che ci sono sì dei ritardi, molti di questi sono esterni al sito, e non interni. La cosa drammatica è che dietro ognuno di questi ritardi ci sono dei soldi buttati via. Prima ti dicevo: pochi visitatori rispetto a quelli ipotizzati, desiderati e quindi c’è il rischio che costi più di quello che si guadagna. Quello che si sta facendo è provare a spendere di meno e questo, ovviamente, crea code ai padiglioni, disagi alle persone, lavoro non retribuito. Non c’è soltanto il ritardo. Dentro al sito espositivo i problemi sono tanti: ci sono i lavoratori feriti (perché dove ci sono cantieri ci sono gli incidenti), la corruzione e le mafie (perché per arrivare in tempo si fanno le cose di fretta) ecc ecc.
Pascal: Mi racconti della mafia, perché sono straniero. Non ho un’idea.
Abo: Diciamo che nell’area, negli anni della costruzione, dal 2010 ad oggi, oltre 100 ditte, 100 imprese, sono state allontanate. Secondo il Governo della città, e secondo la Prefettura, la Polizia, questa è una cosa positiva. Loro dicono che dimostra che i controlli di polizia funzionano, mentre noi diciamo che un caso dimostra che funziona, due volte va bene, 100 volte c’è un problema. Il problema è che per fare Expo si sono fatte delle nuove regole, delle leggi ad hoc. Un’accelerazione dei lavori ieri impossibile per legge, e questa cosa serve proprio alle mafie, alla corruzione, all’illegalità e quindi ovviamente, come nell’iceberg, quello che si vede oggi non è che una piccolissima parte di quello che c’è sotto. E questo ha un prezzo nello sfruttamento dei lavoratori, ha un prezzo perché ci sono più incidenti, ha un prezzo sulla salute perché dentro Expo, e dentro le opere di Expo sono stati trovati copertoni sotto terra, e quindi chissà quali sostanze, ha un prezzo perché le bonifiche non vengono sempre fatte, per ragioni di tempo e di denaro. Ha un prezzo che paghiamo collettivamente oggi, ma continueremo a pagarlo anche in futuro.
Pascal: L’ultima domanda: come contempli le crisi dei fuggitivi e della finanza greca? Secondo me l’Expo non si interessa delle cose.
Abo: Allora, l’Expo è fuori tempo massimo però tutti i grandi eventi sono così. Cioè a noi non piace tanto la critica del tipo Expo è brutta perché c’è Mc Donalds, oppure perché non hanno risolto la fame nel mondo. Nessuno la risolve la fame nel mondo. Non risolvono il problema del clima le COP, non risolve il problema delle guerre l’ONU, non risolve il problema dell’alimentazione Expo. Questa cosa è banale. Non funziona così. Sarebbe stupido pensare che le multinazionali e i paesi si vedono per fare una fiera del turismo e questo risolva i problemi del mondo. Ma Mc Donalds, Dupont e tutti gli altri ci sono….Expo è una fiera del capitale.
Pascal: Sì ma hanno il più dei soldi…
Abo: Hanno?
Pascal: I paesi, i multinazionali hanno molto soldi…
Abo: Sì ma non è Expo la sede in cui si parla di questi problemi, né il posto in cui sono i privati ad investire per parlarne. Cioè che Expo sia fuori tempo massimo, che non serva a nessuno, alle persone dico, non alle corporation, è chiaro, però, francamente, io mi preoccuperei, per ogni sede, di un problema differente. Se Expo dedicasse una giornata ai migranti o ai profughi e gli altri 179 giorni mangiamo bancali di hamburger, non credo che cambi molto. Il problema è che tutta l’idea di Expo è un’idea, come dire, che affianca un sistema in cui le merci devono viaggiare prima delle persone. Gli accordi TTIP o le COP sul clima, così come i precedenti accordi del sistema neo–liberista, servono a sancire, a decidere che esista una libera circolazione delle merci e non una libera circolazione delle persone. Quando ci sono le guerre il fatto che non esista la libera circolazione delle persone diventa un dramma perché milioni di persone scappano, non potendolo legalmente fare. Ok? Ma ci sono delle ragioni precise per cui le merci viaggiano e le persone non possono. Le merci hanno dei diritti che gli umani non hanno.
Se gli Italiani fossero interessati a questo problema, e non ad andare a mangiarsi la pizza a Expo spendendo una barca di soldi, probabilmente oggi andrebbero a Ventimiglia a regalare il cibo ai migranti che sono accampati da sei mesi sugli scogli. Le persone stanno là. Non c’è bisogno che Expo ne parli. Ne parlano i telegiornali, lo sanno tutti eppure nessuno o in Liguria o in Sicilia o in Lombardia si muove per dargli una mano. Quindi Expo potrebbe dare un segnale? Non lo so…per me sarebbe un’operazione di marketing che nasconde gli interessi di sempre. La verità è che il segnale lo devono dare gli abitanti del paese e le Amministrazioni, le Associazioni, gli artisti, i politici, i media e non lo fa nessuno, quasi. Se non gli attivisti come noi che prendono, d’estate vanno lì, costruiscono il campo cui si sono regalati, ad esempio, una decina di cellulari per facilitare le comunicazioni ai migranti, raccolgono generi di prima necessità, fanno delle lotte, li accompagnano oltre la frontiera. Probabilmente siamo piccoli per fare questo lavoro. Il motivo per cui siamo concentrati su Expo era proprio perché tutto non si può fare e Expo ci sembrava una lente di ingrandimento, uno sguardo, sulla Milano e sul paese del 2016. Denunciare oggi significa trovarsi preparati.
Pascal: Okay. Grazie mille per l’intervista.